05/11/14

L'inverno è arrivato


No, non sto per parlare di un plot twist del Trono di Spade (anche perché lì l'inverno è arrivato da un bel po'), ma di Dead of Winter.
E no, non sto parlando del film di Arthur Penn del 1987, ma del gioco della Plaid Hat. Sono rocambolescamente riuscito ad accaparrarmene una copia a Essen prima che si scatenasse la corsa al rialzo dei prezzi e, dato che il gioco tira in ballo un concetto che mi intriga tantissimo, ho deciso di spenderci due parole.

Dunque, passata una Lucca Comics & Games, che a questo giro mi ha regalato una serie di soddisfazioni enormi (a partire dal meraviglioso cosplay dei "Brutti Musi" Grosuk e Poncha, di Alessandro Ceriani e Maurizio Angaroni, che potete ammirare nella foto a lato), torniamo a fare due chiacchiere sui giochi giocati.

Io sono un grande fan di tutti quei giochi che riescono a mettere sul piatto dei dilemmi morali. Non parlo degli allineamenti di D&D o di "fai il buono o il cattivo ma il buono è meglio" di alcuni videogames, ma di giochi in cui le scelte hanno tutte lati positivi e negativi e, soprattutto, hanno potenzialmente un impatto emotivo sul giocatore. Penso al sistema di gioco di Cani nella Vigna, o al modo di gestire i conflitti e i rapporti fra personaggi di The Walking Dead della Telltale.

Non è facile, e se in un videogioco o in un gioco di ruolo possono essere messi in campo dei "trucchi del mestiere" per dare quantomeno l'illusione della scelta o - nei migliori casi - per arricchire di dettagli e pathos una linea narrativa, fare la stessa cosa con un gioco da tavolo è un bel problema. Ci ho pensato a lungo, e tutti i miei tentativi di implementare un sistema morale in un boardgame si traducevano in derive verso dei monster game con duemila variabili e bivi.

Un'idea che avevo avuto era quella di un survival a obiettivi misti (sia di gruppo che segreti), per cui quando è uscito Dead of Winter il mio interesse è schizzato alle stelle: obiettivi segreti, missioni comuni, scelte "etiche" date dalle carte crossroads... sul piatto c'era davvero tutto.

E così l'ho preso. E partiamo subito coi pro: il gioco mi ha davvero divertito. La parte "survival" è cattiva, gli zombi sono letali, il sistema a obiettivi segreti è interessante, le carte crossroad e la quantità di situazioni e personaggi garantiscono una certa rigiocabilità - forse non infinita, ma comunque più che sufficiente. Ovviamente deve piacere il genere, è un american che più american non si può, ma personalmente l'ho trovato molto gradevole e ho un sacco di voglia di rigiocarci.

Il contro, che non c'entra molto col gioco ma che c'entra con le mie aspettative, è che purtroppo di veri dilemmi morali nel gioco non ce ne sono: come temevo - era uno dei primissimi problemi che avevo riscontrato provando a lavorare su un concept del genere - il gioco ha una serie di elementi (risorse, ostacoli, conseguenze) costantemente "a vista". Se i risultati dei dilemmi sono conosciuti, e dovendo perseguire un obiettivo, le scelte passano immediatamente da "morali" a "funzionali": se lasci o meno il tizio a morire rubando i suoi averi, o se lo salvi e lo aggiungi al tuo gruppo, non dipende dalla tua morale ma da cosa ti serve in quel momento.

Ci tengo a precisare che quella delle scelte morali era una mia speranza, di per sé Dead of Winter non è fuorviante, anzi, per quanto mi riguarda fa quel che promette nella descrizione: conflitti "psicologici" fra giocatori, decisioni "difficili, frequenti, tematiche" (ma non "morali") e partite basate su "micro-storie" gradevoli, capaci all'occorrenza di prendersi anche un po' in giro.

Insomma: per le "scelte etiche da tavolo" mi tocca aspettare. Ma non è un gran dramma: per ingannare l'attesa posso sempre andare a farmi un altro giro nella colonia dei sopravvissuti di Dead of Winter...

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