26/06/14

Castelli in aria.

Lo scorso week end ero alla testa di un manipolo di autori di casa Red Glove ad un evento per addetti ai lavori in quel di Bacharach, un borgo medievale in Germania (di cui posterò un paio di foto giusto per farvi invidia), all'interno di un castello dalle mura scure pieno di autori, editori e distributori.
Diego Cerreti presentava GodZ, Ilenia Nacci il suo giocatissimo Pizzeria Italia, di cui ha firmato il contratto proprio nel castello, io ero diviso fra i playtest di un gioco nuovo e qualche riunione.

L'evento - organizzato dalla Heidelberger Spielverlag - è molto gradevole, non solo per le opportunità che offre a livello editoriale, ma anche grazie a qualche soluzione "furba" degli organizzatori, come l'apprezzatissima grigliata del sabato sera, che trasforma l'evento da "l'evento in cui si mangia così così" a "l'evento con la grigliata di maiale". L'evento in sé è stato decisamente soddisfacente, GodZ è stato giocato h24 grazie a un infaticabile Diego che non ha mai smesso di spiegarlo, Pizzeria Italia è stato preso letteralmente d'assalto dai playtester in cerca di giochi leggeri, e i nuovi prototipi hanno avuto un'accoglienza molto calorosa.

Oltre a questo, come sempre l'incontro è stato teatro di diverse interessanti discussioni, sia con altri operatori italiani che con stranieri, su argomenti che spaziano dal game design al mercato.

Uno degli argomenti che ha tenuto banco in diverse occasioni è stato il crowdfunding, anche grazie alla presenza della Spiele Schmiede e di alcuni giochi interessanti venuti alla luce proprio tramite finanziamento dal basso.

Spesso mi sono schierato abbastanza apertamente contro il crowdfunding, nonostante io abbia spesso fruito con discreta soddisfazione di progetti videoludici finanziati tramite piattaforme di finanziamento dal basso. Prima di beccarmi qualche accusa di incoerenza, dunque, vorrei scrivere due righe sull'argomento, perché riguardo al crowdfunding relativo ai giochi tabletop ci sono alcune questioni che considero "critiche"; si tratta ovviamente di pensieri  "nel mio piccolo", che non hanno alcuna pretesa di essere qualcosa di più di riflessioni personali, quando non addirittura domande.

Difficilmente io sono a priori contro qualcosa, prima devo comunque ragionarci su. A maggior ragione quando si parla di uno strumento. Non sono contrario a priori all'installazione di una centrale nucleare dietro casa mia, figuriamoci a una piattaforma per finanziare progetti.
Il problema col crowdfunding è che si tratta di qualcosa che, nella sua semplicità, va a toccare davvero un oceano di ambiti. Invidio tantissimo chi affronta l'argomento con lo stesso piglio di chi parla del morso di Suarez al bar sotto casa. Io ho provato a parlarne, su in Germania e qui in Italia, ma continuo ad avere parecchi dubbi.

Potremmo dare per scontato che chi mette un progetto in crowdfunding sappia quello che sta facendo; abbia cioè - semplificando molto - condotto indagini di mercato, fatto un business plan dignitoso, messo su un'azienda coinvolgendo le professionalità del caso, pensato ai problemi logistici, legali e fiscali, partorito un'idea interessante e che abbia come unico problema la liquidità. Ma davvero possiamo darlo per scontato? A me sembra che spesso chi ha approcciato Kickstarter in questo modo è perché aveva da prima una ditta solida alle spalle, come fece la Queen qualche anno fa (e come hanno fatto e stanno facendo altri), e che quindi in realtà non aveva neanche il problema della liquidità, stava facendo una specie di immenso preorder per avere la massima visibilità possibile. La mia paura è un'invasione di autoproduzioni amatoriali, che private del limite del capitale iniziale limitato potrebbero non solo migliorare (che è legittimo), ma anche esagerare a livello produttivo, magari fregandosene dei margini, "tanto è un hobby".

Dov'è il problema? Che ok, l'hobbista se può fregare dei margini, tanto lui di lavoro vero vende barattoli di fagioli. L'editore invece se non guadagna abbastanza chiude. Ovviamente tutto questo senza scomodare l'eventuale presenza di un game design acerbo, che metterebbe in mano al backer un gioco brutto, in cui però ormai ha investito i suoi soldini (che non ha speso nei giochi dell'editore, che non vende, e chiude). Permettetemi un po' d'egoismo, ma se tutti gli editori chiudono, io non lavoro, quindi mi pongo il problema.

Altro problema: il crowdfunding bypassa la distribuzione. La distribuzione è quella cosa che permette ai giochi di arrivare nei negozi. Non è che se si continua a bypassarla, ne vengono danneggiate prima le realtà piccole (editori e negozi), e poi i distributori stessi?
"¡Que viva la revoluciòn! Abbasso i distributori!" diranno i miei (tre) lettori gamer (che magari hanno buttato manate ampie di dollaroni nella sontuosa edizione di Heroquest 25° Anniversario, che poi il gioco non è neanche Heroquest, ma pazienza, c'ha il nome, sticazzi).

Eh, avete ragione, ma non è che senza distribuzione alla lunga si rimane senza entry level nei negozi (se non senza negozi)? Anche perché i negozi sono potenzialmente danneggati dal crowdfunding: perché dovrebbero comprare un prodotto che l'acquirente interessato ha già preordinato, con tanto di goodies e miniature in oro tempestato di diamanti, direttamente dal produttore? Mi ricorda un po' quel che è successo al GDR, e il GDR non è che se la passi benissimo oggi come oggi.

Insomma, io sarò anche paranoico, ma sarei curioso di avere la palla di cristallo: se  il battito d'ali di una farfalla scatena un uragano dall'altra parte del mondo, che cosa fa il click di un backer su un progetto "anomalo" al mercato ludico?
Ed è anche difficile fare paragoni con altri settori, perché il gioco da tavolo (a differenza di videogioco, home video e musica) non può "vivere" in formato digitale e ha comunque una minore barriera d'ingresso, almeno all'apparenza.

Sinceramente, non vedo il crowdfunding come il male assoluto: se serve a dare "la spinta" (il famoso kick di kickstarter) a un'idea quando non un gioco finito progettato con tutti i crismi, ed è quindi un progetto editoriale gestito correttamente da una società creata appositamente (o già esistente, o che fornisce il giusto supporto), che pensa a ogni aspetto - dal marketing, al design, alla produzione - potrebbe essere solo un modo per sopperire alla mancanza di visibilità o per dare davvero una chance a grandi progetti che non riescono a trovare uno sbocco sul mercato, quali che siano le ragioni.
E mi chiedo se il fenomeno esploderà (nel bene o nel male), se si evolverà in qualcosa di più controllato, se troverà una sua naturale condizione di equilibrio.
Tante domande, poche risposte.

Se qualcuno ha una sfera di cristallo, mi faccia un fischio.

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