23/04/14

Il prossimo gioco.

Ultimamente mi è capitato di rimettere mano a un vecchissimo gioco, la cui idea di base si sposava particolarmente bene con le esigenze di un nuovo progetto.
Ovviamente buona parte del gioco era da rifare. Anche se sono contento di aver potuto "rispolverare" e ridare dignità a un vecchio lavoro, ho dovuto rivedere da zero la meccanica del gioco, così come molti dettagli del tema e gli effetti delle carte, in modo da sterminare alla radice i "bug d'inesperienza" che c'erano nel gioco originale.

E così mi sono fermato a ripensare ai miei primi giochi. Escludendo quelli fatti da bambino e quelli fatti "tanto per", ce ne sono diversi nati prima che decidessi di "studiare" un po' o di costruirmi un metodo di lavoro funzionale, i classici "dieci giochi da buttare" che ho citato su Gioconomicon parlando del "gioco della vita". Nel mio caso  facciamo pure dodici, và.

Ovviamente il primo che mi viene in mente è Oktagrid, il mio primo autoprodotto. Una specie di astratto, che in qualche modo ero riuscito a far funzionare, ma che era decisamente fuori standard sia come materiali che come gameplay. Purtroppo, all'epoca, nessuno degli operatori ludici con cui ero in contatto si è premurato di avvertirmi che non era il caso di autoprodurre una roba del genere. Ma d'altra parte, come dico sempre: "la star del libro sarà pure Gesù, ma anche Erode e Pilato hanno un buon numero di fan".

Parallelamente all'attività di self publisher (a proposito: don't try this at home), feci anche vedere un gioco all'ormai defunta Rose & Poison, un gioco di piazzamento e controllo del territorio che all'epoca mi sembrava decisamente valido e originale. Mi sembrava valido e originale perché ero molto, molto inesperto, conoscevo pochi giochi e non avevo un metodo di lavoro. Il gioco era una cacata, come se ne fanno quando ci si improvvisa.

Comunque, Oktagrid provai anche a farlo vedere a qualche editore. Molti "non rientra nella nostra linea ediotiale", qualche "ti faremo sapere". Finchè non lo portai alla Gigamic, insieme a un altro gioco, un mezzo astratto (à la Marrakech), un gioco che probabilmente, se me lo facessero vedere adesso, seppellirei sotto un etto di sbadigli.
L'esperienza alla fine si rivelò positiva, perché allo stand dell'editore francese una Mathilde Spriet particolarmente paziente mi elencò gentilmente e dettagliatamente i motivi per cui i due giochi non andavano bene né per il loro catalogo, né probabilmente per il mercato in generale. Iniziai, almeno in parte, a capire che forse quello che facevo non era poi così figo, e che avevo un sacco da imparare.

Potrei citare davvero una dozzina di prototipi finiti malissimo, e a ragione. Riguardandoli adesso, mi rendo conto che, a fronte di alcune idee magari non da buttare, a fronte di qualche micro-meccanica ricilcabile, il risultato era decisamente insoddisfacente. E pensare che non volevo assolutamente mollarli: ci avevo lavorato così tanto!
E invece, capita spesso di creare, buttare, ricreare, modificare. Fa parte del processo tramite cui ci si migliora. E' uno dei motivi per cui mi piace andare al raduno di Stahleck: lì i giochi te li fanno volentieri a pezzi. E ti fanno capire dove sbagli.

Capita di continuo di dover gettare pezzi di gioco e di ricominciare da capo, e non è quasi mai un male: si migliora il gioco, e si impara qualcosa. Per fare un esempio al volo, il prossimo gioco co-firmato dal sottoscritto che sta per uscire (e che presentiamo domani a Roma) doveva essere molto diverso: dopo un mese di sviluppo io e Diego ne abbiamo buttato un buon 70% e siamo ripartiti.
Da un lato è stata una decisione sofferta, sul momento, ma a posteriori è stata un'ottima mossa. Ci siamo rilassati, come se ci fossimo liberati da un peso, e abbiamo immediatamente messo a frutto le idee (fino a quel momento irrealizzabili) che c'erano venute nel frattempo.

E se è vero nello sviluppo di un gioco, è ancor più vero da gioco a gioco: è normale che i vecchi lavori facciano spazio ai nuovi e che i nuovi siano sempre migliori. Sarebbe, del resto, strano il contrario: l'uomo impara, studia, si evolve costantemente. La crescita non deve arrestarsi mai, anche perché quando si smette di imparare ci si diverte molto, ma molto meno. 
Insomma, magari mi sbaglio, ma sono convinto che il mio gioco migliore debba sempre essere il prossimo, quello ancora da fare, quello che m'insegnerà qualcosa di nuovo.