15/02/14

Il piacere innanzitutto

Ancora per qualche ora, troverete Dear Esther a poco meno di due euro su Steam.
Vi porterà via poco più di un'ora.
Si tratta di una sorta di "viaggio" attraverso una storia vissuta esplorando un'isola (realizzata con un enorme grado di dettaglio) e i ricordi e i pensieri del protagonista, il tutto accompagnato da una splendida colonna sonora. Non ci sono sfide né interazione, di fatto è un gioco quasi in senso lato, ma se decidete di prenderlo mi raccomando di giocarlo "concentrati", come se guardaste un film un po' impegnato.



Chi s'interessa di game design e teorie correlate, sa che esistono diversi tipi di "piacere" o "divertimento" legati al gioco. Dear Esther è l'ideale per sperimentare un approccio esplorativo (sia della storia che del mondo di gioco) supportato da una forte stimolazione sensoriale (visiva e uditiva), che va a suscitare emozioni in modo assai diverso rispetto alla stragrande maggioranza dei giochi (da tavolo e digitali) cui siamo abituati. Certo, se siete fra quelli che giudicano un'esperienza di gioco più per la sua lunghezza che per la sua intensità o per il tipo di emozioni che è in grado di suscitare, lasciate perdere in partenza.

Ad ogni modo: questo post mi è venuto ripensando a quello su To The Moon, gioco che invece non avevo gradito granché. In questo caso, invece, a me il gioco è piaciuto: più breve, più "interattivo" (con un'interazione funzionale al tipo di esperienza: in questo caso si "interagisce" osservando, ascoltando, "ricostruendo" la storia). Probabilmente, ero anche più ricettivo. Quanto più un gioco si discosta da un canone, tanto più il giocatore deve essere disposto a "ricevere il messaggio": se io avessi giocato Dear Esther aspettandomi una sfida o una branching story, sarei rimasto assai deluso.

Spesso, in ambito ludico, ci si dimentica che le persone si divertono in modo differente. E quando un game designer progetta un'esperienza di gioco, lo fa solitamente (o, almeno, secondo me dovrebbe farlo) pensando a quali corde andare a pizzicare rispetto alla sensibilità e al gusto del "giocatore" che - secondo lui - costituisce il target del suo gioco.
Per cui se a me non piace un eurogame tostissimo ma molto "freddo" come Trajan, non per questo devo dire che è brutto o che è fatto male, anche perché non è vero. Feld ha fatto un gioco davvero molto bello rispetto al target che aveva in mente. Che non sono io, ma questo non è un problema di Feld.

Sarebbe bello se anche i giocatori tenessero a mente questo dettaglio, anziché tramutarsi di tanto in tanto in piccoli cloni arrabbiati del Puzzillo, privi però dell'ironia e della capacità di saper distinguere, al netto dell'artifizio narrativo, il proprio gusto da elementi oggettivi (che sono assai meno di quanti si possa pensare, in realtà).
Allo stesso modo, difficilmente un gioco è esente da difetti. Questo non vuol dire che non possa comunque piacere tantissimo. Io adoro Mage Knight Boardgame, mi fa vivere un'esperienza che mi appaga, mi diverte, mi invita a rigiocare meglio ogni volta che concludo una partita. Mage Knight è un gioco perfetto? Per nulla: nonostante le molte soluzioni intelligenti adottate dell'autore, soffre di downtime, è fiddly, e ci sono leggeri sbilanciamenti che, in alcune situazioni, si cumulano e si fanno sentire parecchio.

Ovviamente, i commenti devono essere liberi e ogni giocatore deve poter dire che un titolo, anche il più blasonato, non gli piace, e allo stesso modo se dico che un gioco mi piace non devo sentirmi dire che "non capisco nulla". Certo, sentir usare termini tecnici a sproposito o leggere di cose oggettive declassate a soggettive e viceversa per me è un po' un concerto di unghie su una lavagna, ma per fortuna alcuni blogger e siti stanno facendo - e facendo fare - dei passi avanti anche al modo di discutere di giochi. "E questo" direbbe Gandalf "è un pensiero confortante".



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